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Immagine del redattoreTrentino in Azione

UNA PROPOSTA EUROPEA PER SUPERARE LA REGIONE

Riportiamo di seguito la proposta sviluppata da Trentino in Azione, con la quale il nostro Segretario Mario Raffaelli ha lanciato un dibattito con una lettera al Quotidiano il T.

Qualche tempo fa, intervistato da questo giornale, Arno Kompatscher ha rilasciato dichiarazioni assai rilevanti sui rapporti fra Trento e Bolzano e l'annosa questione riguardante il ruolo della Regione. Pur reiterando la richiesta di togliere alla Regione ogni residua competenza legislativa, Kompatscher, infatti, ha sottolineato che ciò potrebbe essere fatto senza intaccare l'unicità dello Statuto di Autonomia. Affermazione, questa, che consentirebbe la ricerca di una soluzione effettiva, accettabile ed efficace per le due Province Autonome, senza intaccare il «framework» che garantisce la «specialità» dell'autonomia di entrambe.

Il ruolo della Regione nella vicenda sudtirolese ha rappresentato, del resto, un elemento divisivo fin dall'inizio dell'Autonomia, in particolare per l'implementazione dell'articolo 14 dello Statuto secondo il quale, «di norma», la Regione doveva esercitare le competenze delegandole alle Province. La leadership trentina dell'epoca non si dimostrò all'inizio né aperta né illuminata, restia com'era ad accettare una corretta applicazione di tale previsione. Basti ricordare, a questo proposito, un editoriale di Flaminio Piccoli sul giornale Adige dei primi anni '50: «Taluni pochi uomini dell'Alto Adige hanno creduto di scambiare il Trentino quale riserva di caccia elettorale per rovesciare, con gli utili idioti delle nostalgie asburgiche, la situazione di fatto per cui questa regione è e sarà sempre diretta, nei suoi supremi organi giurisdizionali, da una maggioranza di lingua, di tradizioni e di costumi italiani».

In questo clima maturò il malessere crescente della popolazione sudtirolese, aprendo la strada al ritiro della Svp dalla giunta regionale, preannunciato di fatto dal capogruppo Brucker già il 19 giugno del 1955: «Corriamo il rischio che si possa governare in base allo Statuto autonomo, impostoci per la nostra tutela, anche senza e contro di noi. L'insufficienza dell'autonomia regionale non potrebbe venir espressa in miglior modo che attraverso questo essere alla mercé della maggioranza nazionale». E la mancata risposta a questa preoccupazione giustificherà, in seguito, l'adunata di Castel Firmiano con il famoso «los von Trient» di Silvius Magnago.

Lo «svuotamento» del ruolo politico, amministrativo e legislativo della Regione è stato quindi l'inevitabile effetto della «composizione amichevole» richiesta dalle risoluzioni Onu dopo che l'Austria, come contraente dell'accordo «De Gasperi-Gruber», sollevò il tema in quella sede. Una composizione amichevole che trovò (grazie anche, questa volta, al prezioso contributo di politici italiani in Trentino e in Alto Adige) una concreta espressione attraverso la Commissione dei 19, il «pacchetto», e la sua implementazione nel ventennio 1971-1992.

Riportare indietro l'orologio della storia è ovviamente impossibile. Tanto più dopo l'ulteriore passaggio costituito dal «rovesciamento» della piramide Province-Regione che, con la modifica del 2001, ha fatto sì non fosse più la Regione a costituire le due Province ma il contrario. Una modifica di cui mi sento corresponsabile visto che ha ripreso, di fatto, una proposta di legge costituzionale che avevo presentato alla Camera dei deputati nel novembre del 1992 (numero 1886 a firma Raffaelli, Boato, Bassanini, Elio Vito) al fine di dare alla Provincia di Trento la possibilità di dotarsi di una autonoma legge elettorale per superare il vincolo proporzionale (previsto in ambito regionale per tutelare le minoranze) e consentire così anche l'elezione diretta del presidente.

Per alcuni rappresentanti e commentatori politici questa modifica dello Statuto ha aperto la strada allo svuotamento dell'istituto regionale. In realtà, come si è visto, si è trattato solo di una tappa (peraltro utile alla governabilità del Trentino) di un percorso già iniziato e che è stato semmai un errore sospendere e lasciar poi svanire nel nulla.

Negli ultimi anni, infatti, di fronte alle tendenze «separatiste» presenti in Alto Adige-Sud Tirolo da parte trentina ci si è limitati ad una difesa passiva dell'istituto regionale così com'è. O a coltivare, addirittura, l'illusione di poter rinvigorire le già limitate competenze residue. Strategia questa che, alla lunga, potrebbe realmente portare all'estinzione della Regione anziché ad una sua necessaria trasformazione. Basti pensare alle rispettive conclusioni della «Convenzione» a Bolzano e della «Consulta» a Trento.

Dopo questi due tentativi infecondi è calato da parte trentina il silenzio. Di più, l'attuale governo provinciale ha trascurato del tutto i rapporti con il mondo sudtirolese, favorendo così la pericolosa tendenza dei nostri cugini ad instaurare un dialogo solitario con le autorità nazionali, giunta oggi fino al punto di civettare con chi, fino a ieri, era considerato infrequentabile. E alimentando, in

questo modo, le tesi di chi sostiene che il Trentino sia in realtà sostanzialmente estraneo alle ragioni che giustificano l'Autonomia speciale.

Credo che, per evitare questa ipotesi sempre più concreta, sia indispensabile aprire con i sudtirolesi un grande confronto sul futuro dell'Autonomia. Un confronto centrato sulla ricerca di una soluzione realmente innovativa, in grado di rilanciare la collaborazione fra le due Province Autonome disegnando, allo stesso tempo, un ruolo per il Trentino del futuro.

In questo senso valenti studiosi, come Roberto Toniatti e Gianfranco Postal, hanno già fornito contributi per progetti legislativi di grande interesse.




Si tratta di proseguire su questa strada, offrendo alla Svp la disponibilità a prendere atto della obsolescenza del ruolo politico-legislativo ancora in capo alla Regione in cambio della creazione di un nuovo modello di convivenza e cooperazione fra le due «Comunità autonome». Ciò potrebbe essere fatto mutuando e adattando il modello di funzionamento dell'attuale Unione Europea. Con le due Province che nel contesto dell'unico quadro statutario esercitano un ruolo analogo a quello svolto in Europa dagli Stati ed un organo istituzionale «tecnico-politico», nominata dai due soggetti dell'Autonomia, con compiti simili a quelli della Commissione. Vale a dire di proposta di programmi e progetti comuni e di attuazione degli stessi sulla base di indicazioni/decisioni delle giunte/presidenti delle due Province autonome.

Questa istituzione «regionale» potrebbe così gestire e implementare, su mandato delle due entità provinciali, tutti i dossier di carattere regionale o sovraregionale. E cioè, sostanzialmente, in tutti i casi vi siano significativi interessi comuni (attività o interventi) da perseguire meglio realizzabili in modo unitario, con reciproco vantaggio delle due comunità. E ciò anche nell'ambito dell'Euregio come pure nei confronti delle Regioni limitrofe (Nord-Est, Emilia-Romagna, Lombardia). La riunione congiunta dei due consigli provinciali potrebbe pertanto costituire il luogo per un confronto e per delle indicazioni di lungo periodo, sulla base di una programmazione congiunta di legislatura, definita in concorso fra le due giunte provinciali.

Per dare forza e dignità ad una ipotesi come questa, si dovrebbe anche elaborare, nell'ambito della revisione statutaria, un «Preambolo» che, in molte Costituzioni, rappresenta la parte più importante per la definizione delle finalità generali e dei principi fondamentali. Nel nostro Statuto è contenuto il principio della tutela dei gruppi linguistici e della parità dei loro diritti. Nel nuovo «Preambolo», accanto a questo pilastro principale, dal quale deriva la nostra Autonomia «speciale», andrebbe collocato un secondo principio informatore, maturato nell'esperienza comune trentennale, quello del valore fondamentale della cooperazione fra le istituzioni rappresentative dei territori, che si esprime attraverso l'unico (e comune) Statuto di Autonomia.

Perseguire un disegno come questo significherebbe, per noi, sommare le potenzialità di una storia comune con il mondo di lingua tedesca (anche al Nord del Brennero) con quelle che derivano dalla possibilità di interazione con le regioni più produttive del nostro Paese. Dando così visione e ruolo ad un Trentino che, oggi più che mai, corre invece il rischio di restare davvero «piccolo e solo».

* Ex parlamentare e componente della segreteria nazionale di Azione


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