DAL "quotidiano il T" Da un paio di amici che conoscono il Trentino ho avuto notizia dell'esistenza in altre parti d'Italia (per la precisione nelle Marche e a Torino) di sportelli aperti al pubblico di Dolomiti Energia. Ciò vuol dire che la Società si sta trasformando in un «player» nazionale. Il fatto è assai rilevante. Questa società, infatti, è nata dalle istituzioni dell'Autonomia trentina come strumento per valorizzare le competenze comunali (ma soprattutto provinciali) in materia di demanio idrico e di energia, trasferite dallo Stato nel 1999. Ora sembra sia cambiato l'ambito di interesse: dal territorio provinciale a quello nazionale.
Un passo di tale importanza presuppone una adeguata informazione/consultazione con i soci pubblici. Anche perché, se da un lato Dolomiti Energia, come impresa di mercato vera e propria, sta operando pienamente in regime di concorrenza, dall'altro continua a presentarsi come espressione diretta delle Istituzioni locali (e strumento prevalentemente legato al territorio) con la richiesta di impossibile proroga delle concessioni, scadute o in scadenza, proprio in virtù di tale collegamento.
Queste due impostazioni sono chiaramente contraddittorie, anzi alternative, creando una situazione che, al di là di problematiche giuridiche,
impone di fare chiarezza. Chi deve dare risposte, a questo punto, non è certo la Società, bensì il governo della Provincia autonoma che deve spiegare, infatti, quali politiche in tema di ambiente, di territorio, di energia intende perseguire. E, in questo ambito, quale gestione delle acque pubbliche e delle opere idrauliche, visto che appartengono totalmente al demanio provinciale e rientrano nella competenza (legislativa e amministrativa) della Provincia.
Si deve sottolineare, infatti, che l'istituzione provinciale deve assicurare un corretto utilizzo di queste competenze, garantendo la molteplicità di interessi pubblici e privati in gioco. Una cosa, infatti, è la gestione, in generale, della produzione, commercio, del mercato dell'energia (non solo elettrica), altro è tutelare l'insieme degli interessi riguardanti l'uso del bene pubblico acqua, del territorio, del paesaggio. E ciò anche in funzione dei diversi utilizzi dell'acqua, da quello alimentare a quello agricolo, turistico, industriale. E quindi anche di produzione idroelettrica, tenendo conto dei diritti e dei fabbisogni degli enti pubblici, ad iniziare dai Comuni, e delle imprese, come delle famiglie.
Sia la Provincia che i Comuni, oltre ad essere titolari di funzioni pubbliche regolatorie nella complessa materia dell'energia, sono anche proprietari di partecipazioni in Dolomiti Energia o di società del Gruppo ed è quindi indispensabile che il governo provinciale, in particolare, esprima con assoluta chiarezza le proprie intenzioni. Anche perché in mancanza di ciò si produrrebbe una situazione confusa e potenziali «conflitti di interesse».
La proroga delle concessioni, ad esempio, oltreché illegittima e, quindi, politicamente impossibile, sarebbe per di più lesiva di altri interessi primari della Provincia e dei Comuni, in quanto solo con nuove concessioni è possibile mettere radicalmente mano alla revisione delle condizioni, degli obblighi e limiti, dei canoni, come dei requisiti, senza incorrere in contenziosi e cose infinite. Al fine di assicurare le necessità emergenti, anche alla luce del cambiamento climatico. Per progettare i nuovi ingenti investimenti da finanziare proprio con le nuove concessioni, per migliorare la produttività degli impianti idroelettrici, i nuovi sistemi di acquedotto, l'impatto ambientale e sopperire al venir meno dei ghiacciai, serbatoi naturali. Per questo, in termini più generali, occorre riprogrammare la gestione dell'intero ciclo delle acque, del quale la produzione idroelettrica è parte integrante, ma che deve convivere con gli altri utilizzi.
I soci pubblici, in sostanza, devono decidere assicurando il necessario dibattito pubblico nelle sedi istituzionali (con trasparenza e razionalità) quali politiche perseguire come soggetti per un verso tutori di interessi pubblici primari e, per l'altro, proprietari di quote di partecipazione rilevantissime in società operanti come imprese nel mercato dell'energia. Scelte delicatissime, a partire dalla valutazione se acquisire o meno anche gli impianti industriali di produzione (che oggi sono dei concessionari), valutando, al contempo, se e in che termini vada mantenuta la partecipazione in una situazione dove, coincidendo il ruolo dell'ente
pubblico con quello dell'investitore privato, il primo non potrebbe certo trasformarsi in concessore di privilegio o di aiuti di Stato illegittimi nei confronti delle proprie società (nelle quali, peraltro, il ruolo dei privati è già ora notevole: 23,4 % secondo il bilancio consolidato 2022).
Sottolineando infine che, se la risposta fosse quella di riposizionare i soci pubblici come meri investitori, interessati al profitto ed agli utili per impinguare i loro bilanci, allora ci si dovrebbe chiedere se l'attuale dimensione societaria, in termine di capitale sociale e di fatturato (circa 2 miliardi attuali/anno 2022), di competenze e di personale, sia oggi adeguata ad affrontare un mercato, ormai libero e internazionale, nel quale operano soggetti di dimensioni ben più grandi, quali Hera spa (multiservizi di numerosi Comuni e di più regioni, 20 miliardi di fatturato) o A2A (23 miliardi fatturato 2022, multiutility anch'essa di origine intercomunale).
In tal caso, infatti, il dibattito dovrebbe orientarsi sulla opportunità di progettare un percorso di costruzione di alleanze in grado di offrire le necessarie garanzie di tutela delle partecipazioni azionarie degli enti pubblici. Ammesso e non concesso che tutto ciò sia compatibile con il codice delle società a partecipazione pubblica e, soprattutto, con gli interessi della nostra comunità.
Domande cruciali per il futuro del nostro territorio che meriterebbero una risposta chiara da chi si appresta a chiedere il voto dei trentini.
* Componente delle segreteria nazionale e segretario provinciale di Azione
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