Il Quotidiano il T di domenica mi fa dire che «chiedere il cessate il fuoco in un momento come questo è un insulto a tutti i morti ucraini». Ovviamente avevo anche aggiunto «se non si chiede, allo stesso tempo, il ritiro delle truppe russe dietro le linee che hanno attraversato il 24 febbraio dell'anno scorso». Non fare questo, infatti, significa chiedere agli ucraini di riconoscere come legittima l'occupazione del loro territorio per impedire la quale stanno versando il loro sangue. Per di più, dopo l'annessione alla Federazione Russa dei territori occupati, diventerebbe lecito impadronirsi con la forza di territori, popolazioni e risorse di uno stato libero e democratico. Facendo così tornare indietro l'orologio della storia.
Sempre dalla stampa locale si apprende che per motivare il rifiuto della presenza di bandiere ucraine alla manifestazione pacifista di Trento alcuni hanno detto «anche i russi hanno avuto i loro morti» mentre, a Rovereto, un ex sindacalista ha sostenuto che «politica e diplomazia devono fermare la Nato che vuole il conflitto».
Ora, anche se tutte le morti sono una tragedia, si dovrebbe pur tenere in conto che il massacro dei civili, gli stupri delle donne, il rapimento dei bambini, la distruzione sistematica delle infrastrutture (ospedali, scuole, reti elettriche ed idriche) avvengono solo in Ucraina e che i soldati russi sono mandati al massacro da Vladimir Putin e non per colpa di altri.
Come è possibile che nei movimenti pacifisti circolino opinioni come queste? Come può accadere che sia quasi senso comune la tesi della «guerra per procura»? Come se la Russia fosse stata attirata ingenuamente in una trappola dagli Usa, quando è stato Putin a decidere l'invasione e, mentre lui la stava progettando, Biden veniva considerato un provocatore solo perché, per evitarla, ne denunciava pubblicamente il rischio.
Eppure, a Budapest nel 1994, era stato firmato un memorandum tra Russia, Ucraina, Stati Uniti e Regno Unito in base al quale l'Ucraina trasferiva alla Russia il suo imponente arsenale nucleare e, in cambio, otteneva l'impegno di Mosca a rispettarne le frontiere e a non interferire nei suoi affari interni.
Ma, si dice, l'espansione della Nato ad Est ha rappresentato una minaccia, dimenticando che l'impegno previsto nel «Founding Act on Mutual Relations» (concordato con la Russia nel 1997) a non dislocare armi nucleari nei paesi dell'ex Unione Sovietica che fossero entrati nella Nato è stato sempre rispettato. Mentre, nel frattempo, nella exclave di Kaliningrad (l'antica Konigsberg di Kant) sono stati installati missili con testata nucleare che possono raggiungere le capitali europee in meno di un minuto.
Non solo, nelle missioni negoziali a Mosca di Macron e Scholz, per scongiurare il rischio della guerra, è stato detto ufficialmente a Putin che l'ingresso dell'Ucraina nella Nato non era «all'ordine del giorno» né lo sarebbe stato «per un tempo prevedibile» che, in linguaggio diplomatico significa «mai». Tant'è vero che subito dopo Zelensky aveva commentato «vedo che il sogno di entrare nella Nato sta svanendo giorno dopo giorno».
Resta, quindi, solo l'argomento del Donbass e della tutela delle minoranze filorusse. Anche qui, però, va fatta chiarezza perché, nelle già ricordate missioni di Macron e Scholz a Mosca, entrambi avevano proposto la riapertura dei negoziati di Minsk. Ricordando, tra l'altro, come Zelenski fosse il presidente che aveva abolito il decreto che limitava l'uso della lingua russa ed era accusato dalla destra ucraina di essere troppo sensibile alle posizioni di Mosca.
In realtà non è la condizione delle minoranze russe a preoccupare Putin, altrimenti non «libererebbe» i loro territori trasformandoli in un cumulo di macerie. Ciò che gli interessa è perseguire un disegno imperialista utilizzando quelle minoranze (25 milioni nelle ex repubbliche sovietiche) come giustificazione per modificare a suo piacimento confini e contesti geopolitici. Un disegno iniziato in Georgia, proseguito in Crimea e, oggi, in Ucraina.
Certo, se la comunità internazionale si fosse dimostrata più risoluta fin dall'inizio forse non saremmo arrivati a questo punto. E infatti Putin ha deciso l'invasione proprio perché pensava che gli Stati Uniti (distratti dalla competizione con la Cina e dopo la scomposta ritirata dall'Afghanistan) non avrebbero reagito, l'Europa divisa e debole avrebbe guardato da un'altra parte, il governo di Zelensky sarebbe caduto in pochi giorni.
Impedire la caduta dell'Ucraina significa quindi non solo difendere il valore della libertà (per gli ucraini e tutti) ma anche la possibilità di ricreare le condizioni per una pace veramente stabile. La pace, infatti, non è mai frutto di una buona predicazione quanto di condizioni che vanno costruite. Per questo la fornitura di armi all'Ucraina non è affatto alternativa al negoziato, ma ne costituisce invece il presupposto. Solo quando Putin si convincerà che la sua aggressione militare non funziona sarà allora possibile aprire un negoziato serio.
Mrio Raffaelli Segretario Provinciale di Trentino in Azione, Responsabile nazionale enti locali di Azione e tra i negoziatori della pace in Mozambico (1992)
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